Oggi voglio raccontarti una storia che in apparenza sembra normale, ma che custodisce dentro una ferita profonda e invisibile.
Francesca (nome di fantasia) è arrivata da me in terapia perché da anni conviveva con un senso di vuoto. Non riusciva a definirlo con precisione. Diceva: “Sto bene, ma è come se non riuscissi mai a sentirmi davvero tranquilla con me stessa. Sento di non meritare affetto. Ho sempre paura di dire qualcosa di sbagliato”.
A lavoro era stimata, aveva un compagno presente, una vita apparentemente stabile. Ma dentro… era come se si portasse addosso un peso che non riusciva a spiegare a nessuno. Non aveva subito violenze evidenti, non ricordava traumi eclatanti. Eppure, viveva nella costante sensazione di essere sbagliata.
Seduta dopo seduta, è emerso qualcosa che inizialmente sembrava piccolo: un padre molto critico, mai violento, ma sempre distante. Una madre ansiosa e controllante, che la correggeva continuamente. Ogni gesto di Francesca era stato negli anni letto, giudicato, “educato”. Mai accolto. Mai davvero visto.
Non c’erano urla. Ma c’era una ferita: la vergogna cronica di essere se stessa.
La vergogna che non urla, ma paralizza
Il trauma relazionale non lascia sempre lividi sulla pelle. Ma lascia lividi dentro.
Quando cresci con figure che ti giudicano, ti svalutano o ti fanno sentire che devi essere diverso per essere amato, impari una cosa molto sottile: vergognarti di te.
E questa vergogna non si manifesta sempre con crisi evidenti. A volte si manifesta così:
- Non riesci a parlare in gruppo, per paura di dire qualcosa di stupido
- Eviti il contatto visivo prolungato, perché ti senti a disagio
- Sorridi per coprire il disagio, anche quando vorresti andartene
- Ti scusi di continuo, anche quando non hai fatto nulla di male
- Senti che devi meritarti ogni gesto d’affetto
Questa è la vergogna silenziosa: quella che ti fa sentire “troppo” o “non abbastanza” in ogni situazione. Non urla, ma paralizza. Ti fa vivere con la sensazione di dover chiedere permesso per esistere.
Il corpo non dimentica: quando la vergogna diventa sintomo
Il trauma relazionale non resta solo nella mente. Resta anche nel corpo.
Molte persone che hanno vissuto anni di micro-ferite emotive, sviluppano nel tempo:
- tensioni croniche, soprattutto in spalle, stomaco, collo
- difficoltà digestive o problemi alla pelle
- affaticamento costante, anche senza motivi fisici
- difficoltà sessuali o evitamento del piacere
- attacchi di panico “senza motivo”
Sono tutte forme di una verità che il corpo non riesce più a tenere nascosta. La vergogna, quando non viene ascoltata e accolta, trova altre vie per esprimersi.
E il corpo diventa messaggero.
La solitudine emotiva: quando nessuno vede quello che senti
Uno degli effetti più duri del trauma relazionale è l’isolamento emotivo.
Perché quando nessuno ha mai visto davvero la tua vulnerabilità, tu impari a nasconderla. Ti abitui a mostrarti “forte”, a minimizzare, a dire che va tutto bene. Anche in coppia, anche con gli amici. E dentro, ti senti profondamente solo.
La solitudine non è solo non avere qualcuno accanto. È non sentirsi visto nemmeno quando si è insieme a qualcuno.
E così ci si chiude. Ci si protegge. Ma si smette anche di chiedere, di desiderare, di lasciarsi andare. E si resta lì: fermi, sospesi, con la sensazione che la vita stia scorrendo senza riuscire a sentirla davvero.
Come si guarisce dalla vergogna invisibile
La vergogna non si dissolve con uno sforzo di volontà. Non basta dirsi “non c’è nulla di cui vergognarsi”. Anzi: più la combatti con la razionalità, più lei si nasconde.
Quello che funziona è guardarla con dolcezza.
Darle uno spazio.
Comprendere da dove arriva.
Quando inizio a lavorare con una persona su questo, non partiamo da ciò che vuole cambiare. Partiamo da ciò che ha dovuto nascondere. Dal dolore del non essere stata accolta.
In questo percorso, uso spesso l’EMDR, perché permette di rielaborare in profondità quelle esperienze relazionali che si sono incise come “errori personali”. Esperienze che, con gli occhi dell’adulto, possono finalmente essere viste per ciò che erano: ferite, non colpe.
E quando quella vergogna viene accolta, qualcosa si scioglie.
Non diventi perfetto. Ma inizi a respirare. A sentirti degno. A guardarti con occhi meno severi.
Se ti sei riconosciuto anche solo in parte in queste parole, voglio dirti questo:
Non sei tu il problema.
Il problema è la solitudine in cui sei stato lasciato, il dolore che hai dovuto gestire da solo, la mancanza di uno sguardo che ti dicesse: “Vai bene così come sei”.
E se cominci ad ascoltare quella parte che ti chiede amore e accoglienza, hai già fatto il primo passo.
La vergogna si cura con la presenza. Con la verità. E con relazioni che non vogliono correggerti, ma incontrarti.
Tu meriti di essere visto. Meriti di stare bene e di sentirti abbastanza.
Anche così, come sei ora.