“Ieri è morta mamma”
Accogliere il dolore: riflessioni pragmatiche su un incontro che segna un nuovo inizio
Una ragazza di 18 anni si è presentata allo sportello psicologico di una delle scuole dove presto servizio. La notizia era recente e devastante: sua madre era venuta a mancare proprio ieri. Quel giorno, tra il peso dell’angoscia e l’inaspettata fragilità, mi sono trovato di fronte a un’emozione cruda e confusa, fatta di dolore, rabbia, senso di colpa e una miriade di sentimenti che sembravano opporsi al bisogno stesso di elaborare il lutto.
Questa esperienza, seppur dolorosa, ha rappresentato per me, in qualità di psicologo scolastico, un’occasione di riflessione sul valore dell’accoglienza, sul riconoscimento delle emozioni più scomode e sulla necessità di creare un legame che funzioni da base sicura per il percorso di elaborazione del lutto.
Non si tratta di offrire semplici consigli o di ricorrere al buon senso comune, ma di esplorare insieme, in maniera autentica e pragmatica, un processo di trasformazione interiore che valorizzi ogni sfumatura emotiva, anche quelle che appaiono disturbanti o scomode.
Il contesto dell’incontro: un setting accogliente come base sicura
Farei fatica a definire il setting di uno sportello scolastico qualcosa di ortodosso: campanelle che suonano, caos fuori dalla stanza, distrazioni di ogni tipo.
In questo setting sgangherato l’obiettivo primario era quello di far percepire la mia presenza come un “rifugio” sicuro, un punto d’appoggio da cui poter osservare, senza giudizio, le proprie emozioni. Il setting non è solo l’ambiente fisico, ma la cornice relazionale nel quale lo psicologo scolastico deve adeguarsi e, a volte, compensare le carenze strutturali.
In questo contesto, il primo passo è stato quello di ascoltare, senza forzare soluzioni immediate. L’accoglienza ha richiesto di non minimizzare la gravità del dolore, ma di lasciare che emergessero quelle sensazioni che, spesso, tendiamo a reprimere: la rabbia per la perdita, il senso di colpa per eventuali rimorsi sul passato, e persino la confusione di fronte ad un dolore così improvviso e irreversibile.
Uno degli errori più comuni che si possono fare in situazioni di lutto è quello di cadere nel rifugio del buon senso comune, offrendo consigli banali o formule fatte. Frasi del tipo “adesso passa, vedrai che migliorerai” o “devi essere forte” rischiano di banalizzare un’esperienza unica e profondamente personale e a mio modesto parere dovrebbero diventare ILLEGALI. La mia esperienza come psicologo scolastico mi ha insegnato che spesso la chiave sta nel “non dare consigli” in senso prescrittivo, ma nel condividere, in maniera empatica, una prospettiva che aiuti a vedere il percorso come un insieme di fasi, senza forzare una soluzione immediata.
Valorizzare le emozioni, anche quelle “negative”
Una delle sfide più importanti nel percorso di elaborazione del lutto è imparare a valorizzare ogni emozione, senza categorizzarle in “buone” o “cattive”. Nel caso della nostra giovane interlocutrice, la rabbia emergeva con forza: era una rabbia che non mirava tanto a colpevolizzare, ma a cercare un senso, a reagire di fronte all’inevitabile ingiustizia della perdita. Spesso, nella cultura del buon senso (dovrebbe essere ILLEGALE pure quella) la rabbia viene percepita come un ostacolo, come un sentimento da “curare” o da reprimere. Tuttavia, essa rappresenta un segnale potente: una manifestazione dell’umanità e del desiderio di riprendere controllo, anche se, in un primo momento, il controllo sembra perduto.
In questo percorso, non si tratta di “eliminare” la rabbia, ma di accoglierla, farla esprimere e comprenderne la funzione. La rabbia, infatti, può essere interpretata come una risposta naturale alla perdita, un’emozione che, se integrata, può diventare il motore per andare passo passo avanti nel percorso, anche se, faticosamente e col coltello fra i denti.
Un altro aspetto particolarmente delicato è il senso di colpa. Spesso, in seguito a una perdita, la persona si ritrova a interrogarsi su eventuali mancanze, errori o comportamenti che, in qualche modo, potrebbero aver contribuito alla tragedia. Nel caso della ragazza, emergono sentimenti contrastanti, in cui il “avrei dovuto fare più” o il “avrei potuto evitarlo” si mescolano a una profonda disperazione.
In un percorso di elaborazione del lutto, il senso di colpa non va ignorato o liquidato come un mero residuo emotivo, va accolto come parte integrante del vissuto.
Il legame come base sicura
Quando parliamo di “legame che funziona da base sicura”, ci riferiamo a quella relazione terapeutica che offre un punto di riferimento stabile, un “porto sicuro” in cui la persona in lutto può sentirsi protetta, ascoltata e compresa. Nel mio incontro con la ragazza, ho cercato di instaurare un rapporto che non fosse solo centrato sulla figura dello psicologo, ma che diventasse una sorta di alleanza: un patto implicito in cui il dolore viene accolto senza pregiudizi, e in cui ogni emozione – anche le più scomode – trova spazio per esprimersi.
Questa base sicura non si costruisce con soluzioni immediate o con la promessa di un “tutto andrà bene”, ma con l’ascolto autentico, la disponibilità ad accogliere l’altro nella sua interezza e la capacità di rimanere presenti anche quando le emozioni emergono in modo disordinato. È un invito a non chiudersi, a non nascondere la rabbia o il senso di colpa, ma a considerare questi sentimenti come parte integrante del percorso di elaborazione del lutto.
L’elaborazione del lutto non segue una traiettoria lineare e prevedibile. Ci saranno giorni in cui il dolore sembrerà insopportabile e altri in cui piccoli momenti di sollievo si faranno spazio. In ogni caso, vada come vada, lo psicologo scolastico sarà una figura presente e di appoggio … che non abbandona e non lascia soli nel tragitto tortuoso dell’elaborazione di un lutto.